Una delegazione del Comune di Jesi, guidata dal sindaco Massimo Bacci, si è recata a Roma per consegnare le cittadinanze benemerite al giudice Antonino Di Matteo e alla donna pakistana AasiYa Noreem Bibi condannata a morte per aver difeso il suo credo religioso.
Con Bacci erano presenti il vicesindaco Luca Butini, il presidente e la vicepresidente del Consiglio comunale rispettivamente Daniele Massaccesi ed Emanuela Marguccio.
Il giudice Di Matteo è stato raggiunto alla Direzione Nazionale Antimafia dove lavora ormai da tempo. Il magistrato, da 25 anni sotto scorta, si è scusato per non essere riuscito a venire a Jesi a ritirare il riconoscimento che ha molto apprezzato, sottolineando le difficoltà che si presentano nell’organizzazione dei suoi spostamenti personali.
Bacci lo ha ringraziato per quello che sta facendo per il nostro Paese: “Lei rappresenta - ha detto - un esempio vero. L’Italia ha bisogno di uomini come lei a cui aggrapparsi per credere ancora in un futuro fatto di giustizia, coerenza e serietà”.
Nella pergamena consegnata dal Sindaco vi è riportata la motivazione del Consiglio comunale che nel 2016 conferiva la cittadinanza benemerita a Di Matteo sottolineando il suo essere “da anni in prima linea contro la mafia, ottenendo successi decisivi nelle indagini sull’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli agenti delle rispettive scorte e sugli omicidi di Rocco Chinnici ed Antonino Saetta”, evidenziando come per essendo stato “più volte minacciato di morte, ha proseguito nel suo impegno senza arretramenti” e dunque ponendosi come “figura che certamente incarna quei valori di legalità e giustizia che la città di Jesi ha fatto propri”. All’incontro ha preso parte anche una rappresentanza del movimento Agende Rosse impegnata in azioni di sensibilizzazione contro la mafia.
Subito dopo la delegazione istituzionale di Jesi si è recata presso la sede della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre impegnata nella tutela dei cristiani perseguitati nel mondo per consegnare la cittadinanza benemerita ad Aasia Noreem Bibi. La donna, una contadina di fede cristiana, si trova imprigionata in Pakistan per aver difeso il suo credo e per questo condannata a morte da un tribunale di quel Paese, con pena sospesa per la mobilitazione ottenuta. Nella pergamena consegnata dal sindaco Bacci, dove viene riportata la decisione del Consiglio comunale del 2016, si sottolinea come questa donna sia “simbolo di coraggio di fronte alle persecuzioni ed alle discriminazioni su base religiosa, limpido esempio di coscienza libera ed autentica, figura di donna forte e pronta a lottare per i priori diritti in una società in cui la figura femminile è pesantemente discriminati di fatto ed anche di fronte alla legge”, sottolineando come sia anche una “personalità di grande spessore umano che tra l’altro ha espresso perdono per i propri persecutori”.
Dalla Fondazione un ringraziamento ed una piacevole sottolineatura. Tra le tante attestazioni a favore della donna pakistana pervenute dall’Italia e da ogni parte del mondo, solo un’altra città aveva voluto formalizzare in maniera così solenne questa testimonianza come fatto da Jesi: la città di Parigi”.
Comune di Jesi
Jesi, 17 Maggio 2018