Quello che accadde il 20 giugno 1944 è rievocato nel volume “L’anno più lungo” dello storico locale Giuseppe Luconi.
“Sono all'incirca le sette di sera: in via Roma, all'altezza dell'edicola del Crocefisso, una trentina di giovani sono seduti avanti casa e discutono sui fatti del giorno. Improvvisamente arrivano tedeschi e fascisti, i quali, dopo aver bloccato gli accessi della via, obbligano i giovani a mettersi in fila e ad incamminarsi verso la villa Armarmi, in contrada Montecappone. Giunti alla villa, i giovani vengono rinchiusi nella brigata del colono Massacci, perquisiti, minacciati, bastonati e rimessi in libertà: tutti, meno sette, che una spia di Fabriano (una donna?) qualifica come partigiani. Contro questi sette si accanisce la rabbia nazifascista. Vengono seviziati e torturati a lungo: da lontano si odono le loro grida di dolore e di implorazione. Riconosciuti come partigiani, vengono condannati a morte, senza processo. Agli abitanti della villa e della casa colonica sono impartiti ordini perentori: nessuno esca ed ogni porta e finestra sia serrata!.
Quando i sette vengono spinti in un vallone a circa duecento metri dalla villa, sono irriconoscibili per le violenze subìte. Poi il tragico epilogo: una scarica di mitraglia ed i corpi cadono dalla ripa, rotolando. Qualcuno si contorce, tra gli spasimi estremi chiama la mamma, invoca Iddio. Allora vengono finiti coi pugnali, coi calci dei fucili: negli orecchi, negli occhi, sui petti”.
L’Amministrazione comunale
Jesi, 18 giugno 2010